Oggi si parla di congelare cose…o meglio, non solo. Quanti di voi congelano?
Ai tempi dell’università – soprattutto all’inizio, quando ero una piccola e inesperta matricola fuorisede – congelavo praticamente di tutto: dal pane fatto in casa tagliato a fette ai pomodorini dell’orto di mia nonna; dalle lasagne di mia madre al pezzo di torta, ricordo delle vacanze pasquali.
A quei tempi, cucinare era un’arte ancora troppo sconosciuta. Perciò, per risparmiare tempo e soldi, frustrata da esperimenti malriusciti, congelavo e scongelavo, così come oggi congela e scongela mio fratello, studente di medicina fuorisede, che ha meno tempo e più fame di me.
È ovvio che parlando di “congelare”, la prima cosa che viene in mente è il cibo. La seconda è il freddo polare di questi giorni…e poi?
Vi viene in mente nient’altro? Probabilmente no.
Beh, forse non ci crederete, ma è abbastanza risaputo ormai che oltre a congelare la carne e la lasagna, molte persone, anzi, molte donne, congelano i propri ovociti.
Avete capito bene, gli ovociti. La cellula uovo, l’origine della vita.
Prossime ai 35 anni di età, moltissime giovani donne si ritrovano a fare una scelta: fare un figlio prima che sia troppo tardi o rischiare di rinunciarvi, spesso irrimediabilmente.
Alcune, nel dubbio, fanno congelare i propri ovuli, mentre tentano di sistemare la propria vita.
E' esattamente il bisogno di “sistemarsi” la causa all’origine della scelta di queste donne, tutt’altro che casi isolati. Stiamo parlando di migliaia di donne, di un fenomeno che ha pure un nome: “social freezing”, dove “freezing” significa “congelamento”.
Ora, tralasciando i dettagli del come e del quando, mi concentrerei sul perché.
Perché migliaia di donne si ritrovano a fare una scelta del genere?
Fondamentalmente, per due motivi: il primo è che queste donne non hanno un partner, il cosiddetto compagno di vita con cui fare un figlio e costruire una famiglia; il secondo è che queste donne non hanno la disponibilità economica, il tempo necessario o la possibilità – in termini di lavoro e assistenza – di portare avanti una gravidanza e di crescere un bambino.
Sono sicura che molte lettrici storceranno la bocca, pensando che “se una vuole un figlio, lo fa, a prescindere da come lo camperà”. Beh, io non ho figli, ma concedetemi di dirvi che non sono affatto d’accordo con voi.
Ad oggi, molte giovani donne della mia età (io ho quasi 28 anni) si ritrovano senza lavoro, impegnate ancora con lo studio, affaccendate in lavoretti part time che, nonostante tutto, non bastano a campare.
Alcune, nel tentativo di guadagnare di più, colmano tutti gli spazi liberi con altre attività, rinunciando a riposarsi e a dedicarsi ad altro.
Guadagnano di più, certo, ma quando lo trovano il tempo per fare e crescere un figlio?
Ok, è vero anche che non siamo tutte sfigate: ci sono donne che a 30 anni sono già professioniste affermate, hanno attività avviate e redditizie, una casa propria, un uomo, un matrimonio…sì, ma resta il problema del tempo.
Beh, per il tempo, direte voi, ci sono i genitori.
Certo, i nonni, il vero welfare dell’Italia, che con i loro stipendi, le pensioni e il tempo libero riescono ad aiutare le giovani figlie-mamme…ma quando i genitori non ci sono più? Quando questi sono lontani perché le figlie hanno lasciato, per motivi di lavoro, il luogo d’origine per altre città, altre regioni, altri Paesi?
Intendiamoci: fare un figlio e crescerlo è dura. Richiede tempo, soldi e forze che, purtroppo, molte donne oggi non hanno.
E allora? Che fare? Rinunciare a diventare mamme?
No, Congelare!
Prendere qualche “ovetto” e metterlo in freezer, presso cliniche specializzate (ovviamente a pagamento), nell’attesa di risolvere i propri guai, sperando di trovare una stabilità che, sempre più spesso, tarda troppo ad arrivare.
di Annamaria Cardinali
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